Vivian Lamarque nel presentare il libro di poesie di Alda Merini
“Il canto ferito” scrive: “Ogni animale all’incontro con una specie,
anche leggermente diversa, arretra di un passo”. Così mi sono trovata
quando ho letto, per la prima volta, il libro di Raimondo Moncada “Dal Partenone di Atene al Putthanone di Akràgas”.
Sono fuggita come l’animale di cui sopra.
Poi l’ho ripreso ed ho capito che non sono fuggita dal
racconto di Raimondo, ma dalla mia educazione “ipocrita farisea” dovuta
alla lunga permanenza in un collegio di suore (13 anni) dove tutto era peccato.
Pensavo di aver superato quella “forma mentis”, ma,
ahimè, mi ero solo illusa.
Ho ripreso il libro. L’ho letto! L’ho riletto e mi
sono accorta che meritava una lettura più approfondita perché quello che mi
aveva infastidito – il sesso “sfrenato” – era solo la crosta superficiale.
Ha ben ragione Emanuele Trevi: “Un essere
umano è la somma delle sue paure e del suo lupo”. Per uccidere il “lupo”
(sesso), Raimondo usa la satira che gli è congeniale.
“Satura” ebbe nel mondo greco-romano (da cui proviene)
parecchi significati. Diomede, IV secolo a.C., definisce la satira una
composizione poetica destinata a colpire i vizi degli uomini. Il significato
della parola lo collega a “satyroi”, esseri mitici dall’aspetto in parte equino
o caprino, dal carattere giocoso, che amavano beffarsi degli uomini. La
“satira” veniva intesa come piatto ricolmo di primizie da offrire agli dei.
“Il racconto è come la vita”, sosteneva Roland
Barthes, “ciò che conta è lo slancio pragmatico più che conoscitivo del
suo autore verso la sua foce: una rappresentazione della vita che ne sveli la
continua stupidità (sessuale, in questo caso) esercitata esemplarmente sul
singolo, ma tale da destare una risata che coinvolge l’universale”.
Il racconto che Raimondo fa del suo libro
rivela l’atteggiamento disincantato e talvolta venato di amarezza con il quale
guarda alle contraddizioni e alle bizzarrie della vita sessuale dell’uomo. Dà
ragione a Vitaliano Brancati quando, nel “Don Giovanni in
Sicilia”, afferma che “l’uomo siciliano il sesso ce l’ha in testa”.
Nel 1918 il critico francese Louis Delluc scriveva:
“Guardatevi attorno: le strade, le metropolitane, i tram, i negozi, presentano
mille brani, mille commedie originali che sembrano una sfida alle vostre
capacità di letterati di ingegno”.
Effettivamente la realtà contemporanea è una fonte
inesauribile di ispirazione. Ma Raimondo ha bisogno, per il suo estro
creativo, d’altro. La sua sottile ironia, la sua satira, la sua leggerezza nel
creare i personaggi e situazioni, lo spingono nella Valle dei Templi di
Agrigento. Dopo sudati studi, per caso, una illuminazione: “Akragas polis di
pilus”.
Sono concorde con l’emerito professore Kekkina
Pallonara che, nella quarta di copertina del libro, scrive: “Dal
Partenone di Atene al Putthanone di Akràgas il passo è breve. Da questa
illuminazione nasce la storia che Raimondo racconta, ambientata nella mitica
Valle dei Templi, polo di attrazione turistica della classicità e dei nostri
giorni".
“Dimostrarle che si nasce alla vita in tanti modi, in
tante forme: albero o sasso, acqua o farfalla... o
donna. (Luigi Pirandello).
Peppe
Zarca, Lillo Cicoria e Pasquale
Burrania, sono personaggi delineati con ferocia nell’opera di Raimondo
Moncada. Cercatori di verdura selvatica, ignoranti, possessori di un diploma
(comprato) di licenza media serale, usano un linguaggio da trivio, da bestemmiatori.
Hanno l’aspetto assatanato di “pilu”.
Giumenta: “Putthanones di nomen e di factus”,
godereccia, sfrenata, rotta a tutte le esperienze: “Chi non si accontenta gode”
è il suo motto.
Atena: morigerata.
Ulisse: “rara avis”, uccello assai raro.
Pio
Cornelius: sposo di Giumenta, il
cornuto per antonomasia.
Socrate: filosofo greco che con il suo “non sapere”
incrementa la curiosità morbosa della gente del luogo, ma soprattutto dei
turisti di tutto il mondo.
Susy La
Susy: moglie di Socrate, insegnante
prof. Grande consolatrice di discepoli.
Alfonso
Canazza: capo degli archeologi,
amante dei videogiochi fino a perderci la vista.
Personaggi surreali che hanno in loro qualcosa di
ognuno di noi. Raimondo ironicamente li delinea e ci porta a riflettere.
Bellissima e significativa è la pagina dei “Maialoni
top secret” e lo “Staff putthanonesco”. Vi si svelano i caratteri umani che
sono universali: il nervoso, l’iroso, l’incapace, il presuntuoso, il goloso, il
pauroso, il guardone, il matematico, l’incontentabile, il maestro di musica,
l’assistente piacente, lo scrittore, il filosofo… Una pagina che
sicuramente strappa un sorriso, ma anche tanta vergogna.
Un merito a sé va al “linguaggio”: oralità misurata
che fa ridere, inveire, aggredire, lamentare… e non dà un attimo di tregua.
Originale e dotta la lingua latina che lo scrittore
usa con maestria. Complimenti anche per il latino maccheronico.
Che dire del “Divino verbo siciliano”. Attraverso i
proverbi, Raimondo Moncada racconta
un “epos” popolare che “rivela la fierezza di essere ciò che la cultura
popolare insegnava ad essere” (Pasolini).
Attraverso i proverbi, lo scrittore esprime quello che
gli preme dire: la nostra società e i nostri costumi corrotti.
Il pensare ossessivo del sesso serve per mettere a
nudo le magagne, il pensiero corrente di essere tutti uguali, il disfacimento
morale che tocca tutti i ceti sociali. Il culmine del suo messaggio è racchiuso
nell’ultimo personaggio, “Renato”. Grazie al sesso, ritrova a 99 anni il suo
essere uomo nell’animalità umana.
Tonina
Rampello
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